sabato 2 febbraio 2013

LETTERA AI MEMBRI DEL CONSIGLIO PASTORALE DIOCESANO



Cari amici, membri del Consiglio Pastorale,

quanti di voi mi frequentano con maggior assiduità, avranno notato una mia crescente preoccupazione per la situazione parrocchiale. Avverto un pò di stanchezza, di fatica e di scoramento, che qualcuno a livello di situazione ecclesiale italiana, ha riassunto in una espressione molto efficace: “manca il respiro”.

Quale aria respiriamo in questo momento del nostro cammino?

Sì, direi che il mancare il respiro, non significa solo avvertire l’affanno dei polmoni affaticati o non irrorati da aria fresca, ma vuol dire anche constatare “il nostro respiro di credenti”;  lo Spirito del Signore  Risorto trova ostacoli nell’aprire mente e cuore alla sua volontà di pace e vita piena.

Quell’edificio spirituale di cui siamo chiamati ad essere “pietre vive” (cfr. 1Pt. 2,5) richiede particolare sensibilità di fede, con le sue necessarie implicazioni, alimentate dal confronto con i fratelli e le sorelle, attraverso la conversione fraterna, l’ascolto reciproco, la collaborazione, serena e fedele di ciascuno.

1.    Quale il futuro della nostra Parrocchia che conosciamo ed amiamo nella sua realtà?

Essa si presenta complessa nella sua configurazione, frammentata  nella sua appartenenza, certamente in vista di un suo continuo cambiamento, per questo siamo tutti interpellati nel suo rinnovamento.

La storia della nostra Parrocchia ha un vissuto ricco e pieno di frutti. Ricordo in questi anni della mia presenza tra voi, con soddisfazione, i momenti in cui si sono celebrati i grandi e piccoli eventi della comunità.

Feste, sacramenti, battesimi, matrimoni. Nel mio XXV° questo è emerso, preciso e puntuale, illuminante e incisivo.

 Ma ricordo anche i funerali di persone significative che avevano dato la vita per vedere crescere iniziative, come primi protagonisti nel rendere dignitosi gli ambienti del nostro edificio, oltre che veder crescere i ragazzi, gli adulti (la preghiera e il loro ricordo è vivo ancora per tutti loro). 

Come non ricordare con gioia le inaugurazioni di numerose attività, i pellegrinaggi nei vari santuari, la formazione nei suoi vari tentativi,  come indispensabile esperienza di crescita nella fede?

 Come non ringraziare il Signore, per la presenza dei due giovani presbiteri collaboratori della nostra comunità, don Patrizio con il ruolo di vice – parroco a cui è stato affidata l’animazione della comunità della Quercia, e don Giovanni, con la sua presenza nella comunità di Valfrancesca e nell’animazione dei nostri giovani?

La fraternità condivisa, il confronto e il dialogo vissuti tra noi presbiteri, nella concretezza delle situazioni, siano segno di crescita  e di testimonianza: le due Vicarie hanno ripreso un ritmo sereno e fruttuoso.

Ma quale sarà anche il loro futuro nella prospettiva di una comunità parrocchiale che è attenta e sensibile alle rispettive esperienze, ma che deve far convergere servizi per un domani in cui, forse, saremo chiamati a compiere  altre scelte?

Ci chiediamo dinanzi a questa straordinaria storia di famiglia parrocchiale, quali scelte hanno fatto crescere la comunità?

E dinanzi a questo vissuto, l’altra faccia della medaglia della Parrocchia, fatta di alcuni fallimenti, incomprensioni, rifiuti, tentativi andati perduti, non realizzati, cosa non ha funzionato?

Guardando avanti, puntando certamente su itinerari di rinnovamento, è necessario che il Consiglio Pastorale rifletta sulle condizioni necessarie per il cambiamento e alcune direzioni da seguire.

2.  Essere credenti non è più una condizione scontata.

Nella nostra comunità parrocchiale, emerge forte il nesso tra fede e libertà, tra il credere e la coscienza di ciascuno.

Ognuno ha la sua fede un pò, il suo cammino, il suo modo di intendere la relazione con Dio e le pratiche religiose, e nessuno sembra poter interferire con scelte che tocchino l’intimo e la libertà. Ovvio! Ma poi si finisce, inesorabilmente, nelle strettoie di una fede così individuale, da diventare solitaria. E da soli è più difficile credere!

Le stesse generazioni del passato non godono di splendida salute, sembrano vecchie e soprattutto, come dei grembi sterili, con rancori e conflitti coltivati nel tempo, non sono più in grado di generare “credenti” .

Non credo che sia un destino ineluttabile, ma una sfida che ci aspetta come Parrocchia nei prossimi anni, quella di predisporre luoghi e cammini che  alla fede.

Occorre diventare più attenti ai sentieri di chi cerca il nuovo, una parola per la propria sete spirituale, ascoltare ed ospitare le storie di uomini e donne che riprendono a credere dopo tempi di lontananza e di estraneità  ai nostri percorsi.

Ritornano allora le domande cruciali: come si impara a credere? Come si diventa discepoli? Quali cammini portano ad una fede profonda e consapevole?

Ancora oggi, chi volesse fare i primi passi per tornare (o cominciare da capo) a credere, probabilmente, comincerebbe qui: dall’andare a messa.

L’Eucaristia,  che non solo è da sempre centrale, mi pare rappresenti, oggi, un cammino reale, possibile, praticabile da molti, come strada maestra, per diventare ancora discepoli.

Sì, forse l’Eucaristia è il punto di arrivo del cammino di un discepolo, ma è anche il punto di partenza. Il mistero eucaristico è il luogo più sacro e più intimo della fede e anche quello più esposto, meno protetto. Chiunque può entrare in Chiesa e partecipare ad una messa e nessuno gli chiederà un attestato di cattolicità, forse nessuno gli chiederà niente!

E certo questo può essere un bel problema, perchè se nessuno intercetta, il cammino di chi entra, questo può restare un sentiero isolato e solitario.

Di fatto molte delle nostre eucaristie sono come dei fast food, dove ciascuno viene per consumare velocemente il suo pasto, possibilmente, senza troppe complicazioni relazionali.

L’individualismo che segna ormai il nostro territorio , corrompe anche il nostro modo di celebrare.
 In ogni caso, il progetto della nostra Chiesa locale, ci chiede di partire da qui, ed io lo condivido fortemente, dal fatto che, il lato più accessibile del cristiano è proprio quello più prezioso e impegnativo: la partecipazione alla mensa eucaristica.

Più umilmente, mi piacerebbe rivolgermi a qualcuno che chiedesse di imparare a credere, per accompagnarlo in un cammino, con la parola di Dio tra le mani, che lo porti a scoprire il mistero di Gesù,  che si rivela come Pane della vita.

Invece siamo chiamati a metterci dalla parte del discepolo, di chi, seguendo Gesù, prova a muovere dei passi veri, nell’orizzonte della fede. Siamo chiamati così a comprendere come il partecipare all’eucaristia, faccia crescere il cammino del discepolo, un vero cammino di iniziazione alla fede.
Si dice: “ prima occorre capire, quello che si fa e poi, lo si può celebrare da credenti”.  È vero solo in parte! È anche vero, e forse di più, che prima si celebra, ci si lascia agire dal rito, e poi si cresce nella consapevolezza.

Il rito – come si usa dire – ha una forza, plasma chi lo celebra , ovvero, dà forma in lui a pensieri, sentimenti, azioni che sono conformi alla fede.

3.     Celebrando l’eucaristia si diventa credenti.

Mi pare una prospettiva onesta e noi del Consiglio Pastorale siamo chiamati a  viverla, non dall’esterno, come chi fa delle lezioni di fede, ma da credenti e testimoni.

Proprio introducendo altri alla fede si diventa credenti, non si può accompagnare il cammino del credere se non raccontando e riscoprendo anche la propria fede.

Mentre ci rivolgiamo a chi muove i primi passi, ci accorgiamo che anche chi, da tempo, cammina dietro al Signore, viene riportato alle sue origini e alla sorgente della sua fede.

Una comunità parrocchiale che accoglie i cammini di chi ricomincia è anche una comunità che rende più responsabili e veri i cammini di chi, in essa, vive un ministero per la fede dei fratelli.

Come in una locanda che accoglie i viandanti, l’oste che mesce del buon vino ha il diritto e il piacere di bere, anche lui, la sorgente della gioia di credere, la loro sete è anche la sua, può attestare la bontà del vino che mesce, perchè egli stesso, stupìto, ancora lo gusta con piacere, come per la prima volta, perchè è vino sempre nuovo, proprio come quello delle nozze di cana. (cfr. Gv 2 ).

Come far sì che quel vino esprima “la vita buona del Vangelo”? Come celebrare bene, nella qualità del rito  e di tutti i suoi momenti, soggetti, luoghi e spazi? Come sono partecipati i sacramenti?

Come continuare a trasformare l’acqua in vino nelle nostre catechesi,    che richiede di essere intensificata e/o modificata? (cfr. Gv. 2,9)

Ma con quali catechisti?

Come accogliere l’invito a fare quello che la Chiesa ci dice?    (cfr. Gv. 2,5)

Quale disponibilità e fedeltà, perseveranza e collaborazione da individuare e da rinnovare nel rapporto presbiteri e laici?

Quali ministeri per la presenza laicale, “servitori”  nel territorio?


Come poter manifestare anche noi la “gloria di Dio”( cfr. Gv. 2,11), servire alla luce di una formazione alla preghiera  e a quella spiritualità solida, che passa attraverso un’opera lenta, ma fondamentale di impegno per tutti a percorrere itinerari, per una ricezione dell’offerta intera della vita cristiana, che se appresa e digerita, diventerà vita, senza sentirsi mai arrivati?

Quella gloriache si manifesta quando finalmente coloro che continuano a curare , aumentare, aggiornare la propria formazione, diventano loro stessi formatori, riempiono dell’acqua della conoscenza e della fede le anfore – la vita, degli altri? (cfr. Gv. 2,7)

Vi offro, con affetto queste riflessioni con alcune domande di verifica, perché, mi auguro, di aprire insieme con voi un sereno confronto.

Non sfugge a me e a ciascuno di voi che una tale riflessione coinvolge in prima persona noi presbiteri, e con noi il Consiglio pastorale, chiamato ad una intensa esperienza di comunione e di animazione pastorale, come già stiamo condividendo in questi anni. Il Verbale, presentato dalla Segretaria, la carissima Patrizia, che ringrazio per la sua preziosa collaborazione e fraterna amicizia, è un segno della buona e  bella vita del Vangelo nella nostra comunità parrocchiale.

Con un tale sguardo fiducioso, ringrazio di cuore per quello che avete pensato e realizzato per il mio XXV  e prego, perché veramente l’acqua si trasformi in vino.

È il miracolo del comprendere – valutare – verificare – riprogettare insieme, con gioia ed entusiasmo, cercando la qualità dell’essere comunità credibile che vive nel territorio.

Don Alfredo Di Stefano

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