sabato 9 febbraio 2013

CELEBRARE IN SPIRITO E VERITA’



Corso di formazione liturgica per operatori pastorali


Questa sera siamo qui raccolti per considerare come vivere il mistero di Cristo e della sua salvezza nella liturgia, riflettendo su come giungere a celebrare in “Spirito e Verità”, cioè nelle forme, nelle disposizioni, nei modi che possono rendere questo mistero autenticamente efficace e generatore di vita nella Chiesa di Dio. La riforma del Vaticano II ha dato molto alla Chiesa con i nuovi libri liturgici nella loro ricchezza di orientamento dottrinali e spirituali, di nuove espressioni di preghiera, di forme più intelligente di  celebrazioni e di partecipazione più autentica. Ma il cammino di assimilazione non è terminato.


Nella Nota dell’Episcopato Italiano su “ Il rinnovamento liturgico in Italia”, vengono richiamati in modo speciale, tre nodi  irrisolti a cui porre attenzione:
-“L’adozione dei nuovi libri e dei nuovi riti, non è sempre stata accompagnata da un proporzionato rinnovamento interiore nel vivere il mistero liturgico e da quell’aggiornamento culturale teologico e pastorale che la riforma avrebbe invece richiesto;
-talvolta si ha l’impressione che un nuovo formalismo, frase meno appariscente ma     ugualmente infecondo e illusorio, stia sostituendosi all’antico. In altri casi, invece si è dovuta lamentare una smania poco motivata per cambiamenti ingiustificati;
-non sembra che l’assemblea abbia preso ovunque coscienza della propria funzione nell’azione liturgica. I fedeli spesso appaiono ancora relegati o attestati nella posizione puramente passiva di ascoltatori-spettatori-fruitori di un atto che altri (presidente o ministro) svolge per loro e davanti a loro”.

La soluzione di questi tre nodi è compito dell'attuazione seria della riforma liturgica, dello spirito e della verità che dobbiamo attuare e scoprire in un piano organico di pastorale liturgica

Giovanni Paolo II in Vicesimus Quintus annus, così afferma:
           
-          Se infatti la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II può considerarsi ormai posta in atto, la pastorale liturgica, invece, costituisce un impegno permanente per attingere sempre più abbondantemente dalla ricchezza della liturgia quella forza vitale che dal Cristo si effonde alle membra del suo corpo che è la Chiesa.(n.10)
-          La costituzione Sacrosanctum Concilium ha espresso la voce unanime del collegio episcopale, riunito attorno al successore di Pietro e con l’assistenza dello Spirito di verità, promesso dal Signore Gesù (cfr. Gv 15,26). Tale documento continua a sostenere la Chiesa lungo le vie del rinnovamento e della santità incrementandone la genuina vita liturgica.
I principi enunciati in questo documento orientano anche per l’avvenire della liturgia, di modo che la riforma liturgica sia sempre più compresa e attuata. “E’ necessario, dunque, e conviene urgentemente intraprendere di nuovo un’educazione intensiva per far scoprire le ricchezze che contiene la liturgia”.( n.14 )

A ciò può introdurvi la riflessione di questi giorni.

1. Comprendere il mistero

La liturgia non è una cosa (gesto, atti, parola, rito) da compiere, è un mistero  da scoprire, da incontrare, un mistero del quale si entra e dal quale ci si lascia afferrare per essere trasformati. Per questo il Vaticano II non ce ne dà una definizione, ha offerto gli elementi dai quali possiamo derivarne la natura e il contenuto.
Sin dal n.2 la Costituzione ci dice che nella liturgia, specialmente nell’Eucarestia, si attua l’opera della nostra redenzione, si assimila il mistero di Cristo per esprimerlo nella vita e si manifesta la genuina natura della vera Chiesa. Non si tratta di assimilare e vivere un enunciato di fede teorica, un concetto teologico o pastorale, ma di accostare come Chiesa in atto, il mistero di Cristo che ripropone a noi l’opera della redenzione compiuta una volta per sempre nella storia.
Infatti questo Mistero, continua la Costituzione nei nn.5-8, è perfettamente percepibile e a portata dei sensi dell’uomo, a lui si dirige, per lui si attua e si perpetua. E’ anzitutto una persona, la persona del Verbo fatto carne, unto dello Spirito Santo, medico di carne e di spirito, mediatore tra Dio e gli uomini, che nella sua umanità unita alla persona del Verbo fatto carne, prima per prepararlo e farlo riconoscere, dopo per essere riempita dall’azione della Chiesa, che, nella sua umanità, succede all’umanità del Cristo Signore per portare gli uomini alla gloriosa venuta finale dello stesso Signore.
Per facilitarne la lettura e farne percepire meglio l’unità, il Concilio riconduce tutto il mistero di Cristo e le sue fasi al “mistero pasquale…”(n.5). La Pasqua è nel mistero di Cristo, il punto centrale, storico e salvifico, come lo è stata nell’economia della salvezza del popolo dell’Antico Testamento. La centralità del mistero Pasquale, non come avvenimento storico, ma come mistero a cui dobbiamo conformarci continuamente in un passaggio progressivo dalla morte alla vita, è una pagina ricca di prospettive nella liturgia e nella teologia del dopo Concilio.
Ma è soprattutto nella liturgia che appare questa centralità del mistero della Pasqua. Da esso nasce il meraviglioso Sacramento della Chiesa, che nello Spirito pasquale raccoglie l’eredità di Cristo.
La Chiesa si trova depositaria dei segni sacramentali, in particolare dell’Eucarestia, in essa ha il convito pasquale, memoriale della morte e Risurrezione di Cristo, ad essa convergono tutti gli altri Sacramenti e riti sacramentali con cui la Chiesa distribuisce ai fedeli la grazia della Pasqua. Nel Battesimo il credente viene immerso nella morte di Cristo per risuscitare con lui a vita nuova. Nella Penitenza il peccatore è riconciliato al Padre nel mistero della morte e Risurrezione del Figlio e nell’effusione dello Spirito della Pasqua.
Il ricordo della Pasqua è al centro della celebrazione della Domenica in cui la Chiesa si ritrova nell’ascolto della parola e dell’azione di grazia per il suo rinnovarsi nel memoriale del Signore; ed è il vertice che illumina tutto il mistero di Cristo distribuito nell’anno liturgico.
Tutta la liturgia della Chiesa è inondata dalla luce del mistero pasquale del Signore ed è redento dalla forza (virtus) che ne deriva. L’azione pastorale deve tendere a far assimilare e vivere questo mistero dai fedeli.
Il n.61 della Costituzione sulla Liturgia contiene una notevole sottolineatura pasquale dell’efficacia dei sacramenti, della grazia che da essi deriva nel suo dinamismo di configurare il credente al Cristo pasquale nel suo passaggio progressivo dalla morte alla vita.
La dottrina di S.Paolo a proposito del Battesimo, nel cap.6 della lettera ai Romani, va analogamente applicata a tutti i Sacramenti della Chiesa e dice chiaramente che il mistero pasquale sarà completo solo quando ciò che è stato compiuto in Cristo lo sarà anche nei singoli credenti e in tutta la Chiesa.

2. Il Mistero si attua “oggi”

Il mistero celebrato nella liturgia è una persona ed è una storia: è il Cristo e la storia dell’uomo piena della presenza di Cristo, che diventa perciò storia della salvezza.
La liturgia contempla, canta, rende presente e operante questo mistero. Nella sua realizzazione è legato a segni umani, quali la persona individuale, il tempo, le circostanze, i luoghi che appartengono ad un passato ben definito e non più recuperabile. Eppure diciamo che il mistero è ancora presente e operante oggi. Come? Perché?
La categoria del segno è stata ampiamente scelta da Dio per compiere storicamente e rendere sempre presente la salvezza contenuta nel mistero di Cristo. Nel segno è stata realizzata storicamente e fatta comprendere all’uomo, nel segno è possibile ripresentarla oggi in tutta la sua gloria.
E’ giocando sui “segni sacramentali” che la Chiesa, in obbedienza al piano di Dio e alla sua missione, ha la capacità di rendere sempre presente il mistero della salvezza. Il rito, la celebrazione, gli elementi materiali di parole, gesti, cose messe in atto per ricordare il mistero del passato, lo rendono presente nella sua efficacia salvante.
Ciò avviene “facendo memoria”, “celebrando il memoriale” del mistero mediante un’aziore rituale con gli elementi scelti da Dio e dalla Chiesa.
Non si tratta di una semplice memoria affettiva o psicologica o storica, è un prestare opera, materia, parola all'azione dello Spirito di Dio che per l'azione della Chiesa e il ministero dei ministri, continua ad aprire all’uomo, oggi, la realtà del contenuto salvifico del mistero compiuto storicamente in un momento definito del passato.
Questo significa il memoriale che la liturgia della Chiesa celebra per attualizzare il mistero della salvezza e renderlo accessibile all’uomo perché vi entri e ne abbia parte. E’ il cammino scelto da Dio nelle pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento, dal momento dell’Esodo alla conclusione della cena pasquale, per dare a Israele e alla Chiesa la possibilità di vivere i “mirabilia Dei” nella loro pienezza.
Nella celebrazione del memoriale occorre leggere nei segni non solo il valore dell’elemento e della sua efficacia naturale (ad es. nell’acqua la capacità di lavare, rinfrescare, dissetare) ma l’azione e l’intenzione di Dio nel servirsi degli elementi per manifestare, operandola, la sua salvezza, facendoli, cioè diventare “segni”. Perché l’agire di Dio completa e perfeziona il significato degli elementi umani elevandoli a valore sacramentale; sublima, trasforma il valore della creazione; supera e perfeziona, trascendendolo, il piano di ogni religione naturale.
Si pensa alla ricchezza dei temi biblici dell’acqua e del bagno sacro, dell’unzione sacra (per re, sacerdoti e profeti), del sacrificio e del banchetto sacro, oltre che del pane e del vino, dell’alleanza e delle nozze tra Dio e il suo popolo.
In questa luce si comprende come il segno sacramentale, nell’efficacia della sua azione, non offre soltanto la grazia in astratto ma, unendo al Cristo presente, fa rivivere gli aspetti del suo mistero, e addirittura fa risentire l’efficacia salvante delle meravigliose opere di Dio seminate nella storia della salvezza. La grazia del sacramento è immersione nel mistero di Cristo, presente nella sua totalità e nel suo valore salvante.
Per il Battesimo, Paolo non parla di comunicazione della grazia in astratto, ma di “morire con Cristo”, di “essere sepolti con Lui” per “risuscitare con Lui”. La grazia è contenuta e sgorga da questa misteriosa vicenda del cristiano che nel sacramento rivive realmente con il Cristo stesso questi suoi atti salvifici, divenendo partecipe del suo mistero pasquale.
Lo stesso per l’Eucarestia, sacramento del sacrificio di Cristo, prima ancora che sacramento della sua presenza. La sua celebrazione non è solo rendere presente il Cristo in corpo, sangue, anima e divinità, ma un proclamare la sua morte e Risurrezione finché egli venga, facendo memoria, cioè ripetendo e rivivendo gesti e parole di Gesù nella notte in cui fu tradito, gesti e parole inquadrati allora nel far memoria dei grandi avvenimenti dell’Esodo  e della storia di Israele.

3. Per l’azione dello Spirito Santo

Abbiamo parlato della presenza di Cristo nella liturgia. Per completare la visione del mistero, occorre accennare all’azione dello Spirito pasquale  che assiste la Chiesa, le insegna il cammino per andare al Padre passando per il Cristo, ispira la sua lode e l’azione di grazie e sostiene la sua opera di santificazione. E’ l’azione dello Spirito di santità e di grazia. Il tema stesso di questa riflessione suggerisce di non dimenticare questo Spirito, che guida a celebrare nella verità.
Accenno solo ad alcuni momenti significativi della presenza e dell’azione dello Spirito nella liturgia. Quello Spirito che ha operato la salvezza dell’uomo nell’umanità visibile del Verbo, che ha consacrato e manifestato la sua funzione sacerdotale dall’intimo dell’incarnazione all’offerta sulla Croce, è presente ancora per creare il nuovo corpo di Cristo che è la Chiesa, per farne la vittima spirituale che il sacerdozio universale presenta al Padre insieme al Cristo immolato sulla Croce. Questo popolo di Dio, lo stesso Spirito lo accoglie nel tempio spirituale ed eterno che è il Cristo glorificato.
A lui ispira la lode, l’azione di grazia, la supplica con cui Cristo unisce intimamente a sé la Sposa nella preghiera per ogni uomo.
Ma è soprattutto nei Sacramenti, che l’azione dello Spirito è messa in risalto dalla Chiesa. Lo Spirito viene invocato nell’epiclesi pronunciata su colui che partecipa al sacramento o sulla materia del sacramento, perché lo impegni, lo trasformi, lo faccia veicolo di santificazione.
Lo Spirito agisce nell’Eucarestia, dove lo invoca perché siano consacrati i doni sacrificali, e i fedeli come frutto della comunione con Cristo immolato, realizzino tra loro la comunione che fonda la Chiesa.
E’ presente nel Battesimo di acqua e di Spirito Santo come principio della conformazione al Cristo morto, sepolto e risorto, nella sua missione di re, sacerdote e profeta. Lo Spirito dato in remissione dei peccati viene donato nella Penitenza come principio di riconciliazione e di rinnovamento.
Non può mancare lo Spirito nelle ordinazioni dei ministri sacri per conformarli al Cristo Capo e riempirli della capacità di guida, di discernimento di servizio.
Anche tutte le altre azioni liturgiche della Chiesa, e la stessa preghiera non liturgica, sono vivificate dalla presenza dello Spirito: egli opera l’unità della Chiesa orante, è mediatore del Figlio in tutta la liturgia.
I molteplici segni con i quali viene espressa e significata la sua presenza e la sua funzione in ogni azione liturgica, sono espressione della costante fede della Chiesa nella sua azione. Questa presenza sia accolta e adorata autenticamente, affinché sorgente di una rinnovata Pentecoste di santità e di grazia, di celebrazione nello Spirito e nella Verità, dono dello Spirito.

Percepire la presenza


Dio, abbiamo visto, ha scelto la via dei segni, dei sacramenti, per rendere presente il mistero di salvezza del Cristo e la stessa persona di Lui come sorgente di salvezza.
Il far memoria del mistero getta come un ponte tra il lontano momento storico della realizzazione e l’oggi. Nella liturgia della Chiesa, la parola “oggi” non esprime il rapporto di cronologia tra la data dell’avvenimento storico e la celebrazione, ma piuttosto la fede nel  ripresentarsi della salvezza di quel momento ormai remoto. Come il pio israelita che celebrava la cena pasquale, professava la sua fede di sentirsi salvato perché credeva di essere uscito dall’Egitto in “questa” notte (la notte della  cena pasquale) insieme ai suoi padri, così la Chiesa rende partecipe ora, “oggi”, all’opera di salvezza del suo Signore, in quell’atto in cui la liturgia ne fa memoria.
“Oggi Cristo è nato, oggi è risorto, oggi è tornato al Padre, oggi ha inviato lo Spirito Santo”. Un oggi, dunque, che non è solo ricordo, ma presenza salvante, effettiva, perché si tratta della presenza del Cristo pasquale, vivente, del Signore.

Nei segni della celebrazione


Per percepire questa presenza occorre fissare lo sguardo della fede sui segni della celebrazione.
Il primo è materialmente, quello dell’Assemblea, il vero attore della celebrazione, nell’esprimere la fede e fare memoria, nel cantare la lode e l’azione di grazie, nel supplicare.
Ogni assemblea che si raduna per la celebrazione liturgica è segno del popolo di Dio, della Chiesa, anche con tutti i limiti della sua composizione: il n.26 della Lumen Gentium parla anche di assemblee povere, disperse. In esse il Cristo continua la sua presenza, promessa a chi si raduna nel suo nome, e continua a formare il Corpo di cui è capo, per farlo entrare nella realtà del suo mistero.
Presente nell’assemblea radunata nel nome di Cristo, è particolarmente presente nella persona del ministro ordinato che presiede. E’ il secondo segno. Partecipe della comune configurazione a Cristo, re, sacerdote e profeta in forza del Battesimo, per l’Ordine Sacro è ulteriormente configurato a Cristo-Corpo ed ha come Lui la missione di accogliere i fratelli e di presiedere la loro assemblea nel nome e in persona di Cristo. Egli ha alcuni compiti che gli sono strettamente propri, che non competono ai suoi fratelli e non possono, quindi, essere assunti da loro.
Terzo segno è la Parola
Nella liturgia  Dio parla al suo popolo e Cristo annuncia ancora il Vangelo: “E’ lui che parla quando nella liturgia si legge la Sacra Scrittura” (SC 7).
Questo parlare e  questo annuncio avvengono nella Chiesa e ad opera della Chiesa. Il segno della proclamazione fa diventare attuale il mistero della salvezza annunciato.
La Parola  e il suo annuncio hanno un rapporto stretto con il mistero che il sacramento rende presente nell’assemblea. Ma siamo attenti al pericolo di mettere tutta l’intelligibilità dalla parte della parola e tutta l’efficacia dalla parte del Rito. Ogni Parola di Dio ha un potere attualizzante, ogni Rito è anche proclamazione del mistero della salvezza.
Viene, in quarto luogo, l’insieme dei segni sacramentali, sia i sette segni tradizionali chiamati per eccellenza sacramenti della Chiesa, sia tutti gli altri segni e simboli che la Chiesa ha scelto e accolto nella liturgia come meraviglioso organismo sacramentale. Occorrerà dare importanza e prendere sul serio tutto il linguaggio dei segni sacramentali (cose, gesti, parole, simboli) per non ridurre a pia finzione e puro ricordo psicologico soggettivo il profondo realismo con cui la Chiesa significa non solo la grazia ma anche i misteri di Cristo e li celebra ripetendo instancabilmente “oggi Cristo è nato” , “questo è il giorno fatto dal Signore”.
Sono quattro modalità della presenza di Cristo pur strettamente legate alla celebrazione liturgica e che nulla tolgono a quelle altre modalità legate al prima e al dopo della liturgia, quali la presenza di Cristo nell’esercizio della preghiera personale o comunitaria, nell’esercizio della catechesi della Chiesa o nella testimonianza della carità, o nella pratica dell’ascesi richiesta alla vita cristiana.
La presenza del mistero di salvezza nella celebrazione non è solo simbolica o affettiva, ma reale ed operante efficacemente; così è reale la presenza personale del Cristo. Fuori dubbio è la realtà della presenza nell’Eucarestia sia durante che dopo la celebrazione; ma reali sono anche le modalità di presenza legate al segno dell’assemblea della proclamazione della Parola, della persona del ministro, del gesto sacramentale ed eucologico-laudativo della Chiesa. E’ la forma più efficace di quella presenza sino alla fine dei tempi che Cristo ha promesso alla sua Chiesa. 

A conclusione di questo breve excursus sul campo della riflessione, ci rimane da chiederci che cosa deve fare una comunità cristiana, un credente, per arrivare ad una celebrazione che rispetti la Verità e sia animata dallo Spirito?

Scelgo alcuni filoni di orientamento:

1.        Preparare la vita liturgica.
       Preparare la vita liturgica della comunità come una educazione intensiva che aiuti a recepire i valori fondamentali della dottrina, a conoscere le tecniche della celebrazione, ad assicurare l’ambiente e i mezzi per una celebrazione autentica.
Questa formazione di base dovrebbe scaturire dall’itinerario di fede che la comunità dovrebbe proporsi sulla base dell’Anno Liturgico, unitamente e come ispirazione della stessa catechesi di base, come inserimento nel mistero di Cristo e della Chiesa, attraverso la lettura e la meditazione della Parola, la preghiera che ne sgorga, la pratica ascetica che la rafforza.
Il cammino dovrebbe procedere “per Ritus et precis”, partendo cioè e valorizzando ciò che si fa, si usa, si dice nella celebrazione.

2.        Avere coscienza di Chiesa celebrante.
      Ho ricordato che l’azione celebrativa è segno, immagine della Chiesa riunita nel nome del Signore. Non è una porzione di Chiesa, è la Chiesa che come realtà in atto si manifesta in un luogo determinato e ivi rende presente la Chiesa nella sua cattolicità di mistero e di realtà universale.
Il raccogliersi, il convenire in unum è segno e stimolo dell’impegno a rompere l’isolamento, l’individualismo, a presentarsi non come gregge disperso ma come popolo radunato nell’unità della Trinità, che si fonda sulla fede iniziale e si rafforza nella carità che scaturisce dal sacramento.
Da questa unità sperimentata nella celebrazione promana poi la capacità, l’esigenza di formare Chiesa anche al di là dei limiti temporali e locali, dell’assemblea liturgica, nella famiglia, nella scuola, nel lavoro.

3.        Avere coscienza della ecclesialità della celebrazione.
Il mistero della Chiesa, non è mistero di contemplazione, deve manifestarsi dal suo agire. Tre richiami:
·           Il popolo di Dio è un popolo gerarchicamente ordinato e questo significa che al suo interno lo Spirito di Dio suscita doni, carismi, disponibilità, servizio.
·           La presenza di diversi carismi e ministeri

4.        Avere coscienza dell’esercizio del proprio sacerdozio. Ogni battezzato è deputato a dare culto a Dio e il credente deve viverlo in funzione a tutta l’Assemblea.
Ciò richiede:
·           Vivere la memoria che si celebra nell’atto sacramentale e liturgico e questo è entrare nella fedeltà a Dio.
·           Invocare lo Spirito perché renda presente l’opera della salvezza.
·           Lodare e ringraziare per l’opera della salvezza.
·           Realizzare nella vita ciò che si è celebrato nel Sacramento.

5.        Far parlare i segni.
Danno vita alla memoria, sono guida al contenuto di salvezza del Rito.
·           Spirito di disciplina e fedeltà alle direttive del libro liturgico.
·           Conoscenza della struttura , delle leggi interne delle celebrazioni.
·           Utilizzare le singole parti secondo la natura.
·           Mantenere il ritmo delle parti, delle persone, delle forme.
·           Amare la bellezza degli elementi e delle forme.
·           Curare lo stile delle celebrazioni.

Non dimentichiamo che la vera glorificazione di Dio sta nell’assimilazione della salvezza operata dal Verbo del Padre e a noi offerta dalla Chiesa nella memoria delle grandi opere di Dio affinché la vita divina del Cristo risplenda nella nostra povera carne mortale.
Questo è il frutto gustoso della liturgia. AUGURI!!!!

Don Alfredo Di Stefano

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