Carissimi,
abbiamo dato ufficialmente inizio, ieri sera, all’anno della fede, e ci prepariamo a vivere i nostri Lunedì della fede, guidati dal pressante invito di Paolo rivolto alla Comunità di Colossi ad essere “fondati e fermi nella fede” (Col 1,23)
Colossi era una città in cui prosperavano culti pagani e la comunità correva il rischio di far vanificare il messaggio cristiano ad opera di alcuni falsi predicatori che parlavano della fede come di una filosofia o uno tra i diversi sistemi di pensiero giudeo-ellenista, ingenerando lo svuotamento della potenza salvifica dell’evento-Cristo.
L’Apostolo, dal canto suo, mette in guardia i Colossesi affermando che non esistono elementi complementari a Cristo e alla Sua redenzione. Perciò, “fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alle tradizioni umane secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo” (Col 2,8).
Il monito paolino deve costituire anche per noi un forte invito a porre a fondamento stabile e certo della nostra vita cristiana la fede, quale radicamento in quelle convinzioni che, nell’oggi, sono chiamate a generare il dinamismo salvifico del nostro essere in Cristo creature nuove “perché restiate fondati e fermi nella fede, inamovibili nella speranza del Vangeloche avete ascoltato” (Col 1,23).
L’anno della fede deve farci prendere coscienza che nell’esperienza del credente non possono esserci due vite parallele: da una parte la vita cristiana, dall’altra la vita di lavoro, di impegno, di tempo libero. La vita, invece, per chi si ritiene rinato dall’acqua e dallo Spirito, è una sola: Cristo che vive in noi, “speranza della fede” (Col 1,27).
Sicché, al cuore della fede cristiana c’è un evento che chiama in causa una Persona e che viene espresso nel cosiddetto primo credo cristiano con queste parole:
“Che Cristo morì per i nostri peccati
secondo le Scritture
e che fu sepolto
e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture
e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici”
(1 Cor 15,3-5).
Allora, prima di essere semplicemente assenso a delle verità date una volta per tutte, la fede è incontro personale con una Persona umana e divina, Gesù Cristo, il quale dovrà farmi ripetere la stessa emozione di Paolo: “Io so in chi ho creduto” (2 Tm 1,12). Vissuta così come esperienza vitale, la fede susciterà conseguentemente il fascino della sua Persona e della sua sequela e ciascuno di noi potrà dire coscientemente: Io so perché ho creduto.
In quel perché dovrebbe risuonare l’eco di una acclamazione e di una confessione:
“Se con la tua bocca proclamerai: ‘Gesù è il Signore!’ e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (Rm 10,9).
La fede è quindi una questione di cuore.
Lo afferma il Papa nelle prime righe nel suo Motu Proprio: “la porta della fede che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla Grazia che trasforma.” (PF 1)
In queste poche parole si possono cogliere alcune indicazioni importanti: prima di tutto che la parola di Dio tende a raggiungere il cuore e non semplicemente l’aria della nostra intelligenza. Sappiamo bene, infatti, quanto potente è il cuore e quanti i desideri che lo abitano, sappiano orientare le scelte della vita.
Per rendere vera la possibilità di entrare nella “porta della fede” abbiamo bisogno di conoscere il nostro cuore e di metterci in gioco percorrendo con lealtà itinerari di formazione umana e spirituale.
Il Papa ci insegna “che la conoscenza dei contenuti da credere non è sufficiente se poi il cuore, autentico sacrario della persona, non è aperto alla grazia che consente di avere occhi per guardare in profondità e comprendere che quanto è stato annunciato è la Parola di Dio” (PF 10).
Sarebbe bello potere integrare la preghiera di Paolo agli Efesini, chiedendo al Signore di abitare il nostro cuore per poter conoscere insieme a “l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” (Ef 3,18) del suo amore per noi anche l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità del nostro cuore, soprattutto in riferimento al ministero della catechesi e dell’evangelizzazione che deve abitare in noi.
Se il cuore è il primo luogo dove avviene l’incontro della Grazia con la persona, anche la conoscenza dei contenuti della fede è essenziale per dare il proprio assenso, “cioè per aderire pienamente con intelligenza e la volontà a quanto viene proposto dalla Chiesa” (PF 10).
E’ così, se abbiamo sottolineato l’importanza del cuore per l’adesione della fede – con il cuore si crede – qui è da sottolineare l’importanza della formazione – con la bocca si fa la professione di fede – per dare dei contenuti oggettivi e condivisi alla fede stessa.
“L’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel catechismo della Chiesa cattolica, la loro sintesi sistematica e organica” (PF 11).
Abbiamo bisogno di continua formazione per poter essere onesti con coloro che ci avvicinano per chiedere spiegazioni sulle cose che riguardano Dio, per essere corretti quando offriamo interpretazioni storiche e teologiche di questo o di quel problema, per essere precisi quando riferiamo il pensiero della Chiesa su questioni morali o giuridiche.
Nessuno andrebbe a farsi curare da un medico impreparato; nessun chirurgo onesto si metterebbe in sala operatoria a giocare con la vita delle persone.
“La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio. Fede e carità si esigono a vicenda, così che l’una permette all’altra di attuare il suo cammino” (PF 14).
La fede comincia a farsi strada nel nostro cuore quando si percepisce prima di tutto l’amicizia con il Signore una relazione fedele e continua da vivere con amore, questo fa emergere un grande impegno e profuse energie da condividere con gli altri, trasformando le nostre impazienze e i nostri dubbi, ravvivando il coraggio quotidiano di vivere e di agire, diventando così testimoni della fede nel Dio Trinità d’Amore.
Una fede così, adulta e matura, ci condurrà a riconoscere Lui e nessun altro come unico Signore della propria esistenza.
Dovrà quest’anno di grazia essere un dono del Signore per camminare insieme, come ci viene ricordato dal Santo Padre:
“La Chiesa nel suo insieme, e i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino per condurre gli uomini fuori dal deserto verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza” (PF 2).
Se in ogni situazione della nostra vita siamo invitati a coltivare il dono della fede e a trasformarlo in un impegno fattivo e fruttuoso, quest’anno nessuno dovrà sentirsi esonerato da questo compito avendo come modello Gesù Cristo che percorreva le strade della Palestina portando a tutti la bella notizia.
Sì, come Cristo, sacerdoti e fedeli della nostra comunità parrocchiale, dovremmo sentire la passione per le cose alte e altre. Lui il modello cui ispirare tutta la nostra vita cristiana nata dal battesimo, quale sacramento della fede per eccellenza e cuore della vita della comunità cristiana.
Immettersi allora in questo cammino di fede significherà vederci seriamente impegnati, a nutrire i contenuti della fede con la Parola, perché siano rilanciati verso prospettive sempre più forti e vere, a partire dalle famiglie, soprattutto quelle giovani, alle quali non dovrà mancare l’impegno di far riscoprire la dignità del dono del battesimo, sacramento sorgivo da cui derivano tutti gli altri doni di salvezza.
È da tempo che sollecito voi catechisti all’attenzione alle famiglie dei fanciulli della catechesi. Torno a ribadire che esso deve essere considerato come un’opportunità preziosa di evangelizzazione. Perciò una cura seria e puntuale dovrà essere riavviata, ricordando a chi chiede il dono dei sacramenti dell’iniziazione cristiana che celebrano la fede.
Il battesimo poi ne è l’inizio e come tale le famiglie che lo chiedono vanno coltivate e fatte crescere nell’apertura costante alla Parola di Dio, accolta nella preghiera e nello studio.
E’ da tempo che poi sollecito anche ad una visione d’insieme, ad una integrazione del cammino della catechesi e di quello dell’ACR. E’questione di cuore il nostro interesse per la formazione completa dei nostri fanciulli. Perché non nasce una seria e serena collaborazione tra di voi nel promuovere e organizzare iniziative, condividere esperienze, far nascere confronti per il bene dei nostri fanciulli?
E’ da tempo che sollecito anche ad una partecipazione più diretta di voi catechisti e dei fanciulli alla celebrazione eucaristica domenicale per un protagonismo fedele e responsabile: quando accadrà come esperienza spontanea, semplice e immediata? Quando saremo in grado di celebrare una eucaristia bella e significativa, dove ognuno possa sentire la Chiesa la sua casa e la comunità parrocchiale la sua famiglia?
Introdotti nella comunione con Dio e con la Chiesa la porta della fede, come è a tutti noto, è sempre aperta. Chi accoglie l’invito ad entrare nella logica e nella prassi del Regno, al termine del suo cammino, troverà l’Ospite che lo attende a braccia aperte. Oltrepassiamo allora la soglia di questa porta ed entriamo nella casa comune con il medesimo entusiasmo degli antichi neobattezzati, pronti a professare e testimoniare la fede anche con il sangue.
Invochiamo insieme l’intercessione della Madre di Dio, proclamata “beata” perché “ha creduto” (Lc 1,45), con l’augurio di un buon anno catechistico.
Don Alfredo
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